Le comunità italiane nel mondo, a partire dagli USA, sono il retaggio dell’emigrazione del ‘900 e, come tali, ricordano la cultura italiana dei vari periodi che hanno caratterizzato quell’emigrazione...
Le comunità italiane nel mondo, a partire dagli USA, sono il retaggio dell’emigrazione del ‘900 e, come tali, ricordano la cultura italiana dei vari periodi che hanno caratterizzato quell’emigrazione. Oggi si parla spesso della crisi che le varie fondazioni nate nel ‘900, stanno soffrendo senza comprenderne le ragioni ovvero l’importanza. Italian Language Inter Cultural Alliance (ILICA) nasce dall’esperienza dell’ultima immigrazione italiana negli USA dove i soggetti hanno lasciato l’Italia per scelta invece che per necessità. La prima ragione della crisi associativa delle fondazioni americane di origine italiana va cercata nella celebrazione di una cultura italiana che ormai è solo nella mente di chi, per 3 generazioni, non l’ha vissuta. Noi di ILICA consideriamo tale “stereotipo” un processo integrativo necessario perché, l’adattamento di chi nasce in America allo stile di vita di questa Cultura dominante, diventa necessario per affermarsi pena l’esclusione dai successi sociali di questi nuovi cittadini. Gli esempi non mancano, da Geraldine Ferraro a Rudy Giuliani, da Mario Cuomo ad Antonin Scalia, da Jack Valenti a Edward Re, da Tommy La Sorda a Joe Di Maggio e via di questo passo attraverso lo sport, il cinema, la politica, la diplomazia, i nomi italiani sono ormai parte integrante della realtà italiana in America. Una realtà che comunque si richiama allo stereotipo della cultura italiana che fa parte di un secolo passato. L’accelerazione imposta dai mezzi di comunicazione del XXI secolo sta creando un nuovo paradigma di riferimento che esclude, in un contesto di selezione naturale, una nuova cultura più inclusiva, forse più globale, che spoglia l’emozione dei ricordi del suo retaggio culturale e la riduce a fredda nozione storica. Ballare con i motivi italiani degli anni ’60 ovvero mangiare con i gusti di una cucina troppo ricca per un’alimentazione corretta, potrebbe soddisfare un’emozione temporanea per un ricordo legato più ad un periodo storico che alla rappresentazione di una cultura attuale. La realtà suggerisce che la cultura attuale italiana abbia meno rappresentanza in America di quanto ne abbiano i ricordi della cultura del ‘900 ergo noi americani, di origine italiana, siamo più soggetti a ricordi stereotipati che alla realtà della quale vive l’Italia di oggi. La frattura attuale è ormai una crisi identitaria che ha perso il collante culturale che costituiva il punto di incontro tra chi era arrivato prima, in America, e chi arrivava in un contesto americano di origine italiana più ospitale di quello che aveva lasciato. Indubbiamente, un’immigrazione stabilmente insediata e la formazione di seconda e terza generazione sono destinate ad accentuare la segmentazione culturale rimescolando i criteri di identità culturale. L’accelerazione tecnologica iniziata negli anni ’80, ha contribuito a frazionare le diverse generazioni, non solo italiane ovvero di origine italiana. Una rivoluzione che ha avuto il primo effetto nel ridimensionamento dei “senatori”, punto focale delle culture, che hanno visto diminuire il loro valore in meno di 30 anni. I nonni, fonte di sapere popolare e di proverbi, sono stati sostituiti da internet. I genitori hanno passato la loro influenza a Siri e Alexa: tutto in meno di 15 anni. Oggi parliamo di robotica e dobbiamo riformare tutto il nostro modo di comunicare perché gli esseri umani, molto presto, dovranno relazionarsi con macchine sempre più artificialmente intelligenti. La cultura “etnica” popolare viene sempre più compressa in algoritmi accessibili solo da chi conosce i meccanismi per accedervi, motivati in assoluto dall’interesse culturale che questa o quell’etnia suscita. Dove è finita l’Italia? Dopo oltre un anno di vita vissuta nel Bel Paese, lasciato per la più grande democrazia del globo nel 1971, ci siamo ritrovati persi in fiumi di opinioni, di talk shows televisivi, tentativi pseudo politici per attrarre un’anarchia etnica che invece di far crescere il Bel Paese, l’ha portato indietro di decenni. L’Italia non fa più moda anche se resta la prima nella creazione della moda. Come resta la prima nel produrre la trasformazione dei prodotti agricoli in delizie del palato e resta il primo museo a cielo aperto del mondo. Il COVID 19 ha le sue responsabilità mentre l’incapacità cronica organizzativa di un’espressione geografica, da sempre frazionata in piccoli paradisi terrestri, mostra oggi tutti i suoi limiti. Come nel Rinascimento, in mezzo a tanta povertà e collasso sociale, l’Italia sta riproponendo il suo “Genio” esportando i suoi giovani migliori che, una volta fuori da questo caos organizzato, esprimono eccellenza pura, eccellenza italiana. Anche Leonardo Da Vinci ebbe la sua personale emigrazione a Milano e Parigi, prima di tornare a Firenze. Anche Leonardo fa parte della storia mentre oggi noi siamo obbligati a raccogliere quelle gocce preziose di cultura che l’Italia riesce ancora a produrre con i suoi giovani. Ci sono, credetemi, e bisogna salvarli dal mare di retorica che attanaglia un sistema incapace di gestire giustizia, politica, ordine sociale, integrazione etnica e tutto quello per cui l’Italia oggi è famosa nel mondo, con la capitale più sporca d’Europa. Sarebbe tempo sprecato cercare le responsabilità di un disastro ambientale che ha riportato Roma alla superficialità sociale della Roma papalina dell’inizio ‘800. L’Italia del 2000 ha una grande storia mentre ha perduto la sua cultura. Questa purtroppo è la triste verità che sta provocando la nuova emigrazione, verso “Paesi industrializzati e non”; meglio organizzati. I giovani italiani emigrano perché la meritocrazia, in Italia, ha lasciato il posto al nuovo nepotismo, brutta copia di quello di 200 anni or sono. Si fanno strada improbabili imprenditori che fondano il loro successo su capacità economiche di dubbia provenienza. Sicuramente il Bel Paese è ancora in tempo per ricominciare anche se leggiamo tutti i giorni che nuovi gruppi etnici (Rumeni, Nigeriani, Albanesi, Cinesi...) si contendono i resti di una cultura in stato di agonia comatoso. Gli italiani che fanno impresa sono in territori più favorevoli al lavoro ovvero negli emergenti Paesi dell’Est dove la mano d’opera costa poco e i carichi fiscali sono un quarto di quelli applicati in Italia. Un po' come si trovava la famosa Italia del “miracolo economico” dove il lavoro era considerato una funzione nobile per sostenere se stessi e la propria famiglia. Per non parlare degli anni dell’emigrazione di massa dove la fame e la mancanza di lavoro hanno aiutato noi italiani all’estero a scrivere tante storie di successo. La carta costituzionale italiana è la più giovane dei Paesi industrializzati mentre la sua storia è tra le più antiche del globo.
La fragilità di un Paese in via di sviluppo culturale è, nell’amministrazione della giustizia e nei rapporti sociali, sempre più evidente. Il tutto camuffato da una valanga di retorica linguistica che parte dai titoli assegnati come nella tradizione feudale, alle leggi che regolano tutto e il contrario di tutto. Gli stereotipi alla base delle fondazioni americane di origine italiana che continuano ad autocelebrarsi, debbono fare i conti con l’Italia del 2000. Una cultura forte integra le nuove immigrazioni, non le discrimina. Non si può sapere dove andare se non si conosce da dove si viene. L’evoluzione della cultura italiana è in una pausa preoccupante.
Forza, lavoriamo insieme per aiutare le nostre radici a sostenere quanto di buono hanno generato. I frutti di quelle radici siamo noi e anche se siamo fuori dal Bel Paese, possiamo fare molto per aiutare l’Italia. Aiutiamo i giovani italiani a creare il loro ruolo nel concetto Inter-Culturale, per dare il contributo che ogni cultura porterà alla globalizzazione in atto.
ILICA C’E’!!!